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Crisi dell'auto in Puglia, Fiom Cgil: “Servono strategie per salvare 6.000 posti di lavoro"

La crisi del settore dell'automotive rischia di fare sentire pesantemente le sue conseguenze in Puglia, dove ci sono aziende con 6000 addetti e centri di ricerca all'avanguardia. Il punto è stato fatto durante la tappa a Bari della campagna “Safety Car”, promossa dalla Fiom Cgil per affrontare le difficoltà che vive il comparto. Le problematiche sono simili ad altre regioni, come è emerso dall’assemblea di quadri e delegati tenutasi nella “Sala Trulli” dalla sede della Cgil regionale, “una crisi di settore che la pandemia ha solo accentuato”, ha spiegato nella sua introduzione il segretario generale della Fiom pugliese, Beppe Romano. “È importante un confronto largo nella nostra organizzazione circa le sfide che ci attendono sul versante della transizione ambientale che sia giusta anche sul piano sociale. E questo chiama in causa trasversalmente la nostra confederazione, coinvolge altri settori, richiama la necessità di un confronto con le istituzioni nazionali circa la visione strategica”.
Che è, ad ascoltare la lunga serie di interventi dei delegati – dalla Bosch alla Getrag, dalla Cnh industrial alla Magneti Marelli – l’elemento che tutti lamentano come assente: carenza di piani industriali capaci di guardare e anticipare il futuro e investimenti connessi. Un cambiamento, come ha ricordato il segretario nazionale della Fiom, Michele De Palma, “che riguarda e investe tutto il mondo della mobilità e quindi della produzione di mobilità”. Ma se in Europa paesi come la Francia e la Germania “stanno mettendo a valore le intelligenze del mondo del lavoro per indirizzare le scelte e spingere la propria capacità di essere competitivi, in Italia questo non accade, e in assenza di strategie si arreca un danno al sistema paese che rischia in ultimo di ricadere sui lavoratori”. Si scontano anni di assenza di politica industriale “che richiedono un nostro sforzo ulteriore, non solo di categoria, perché la tematica è trasversale, e da un lato ci permette di operare anche per riunificare un vasto mondo del lavoro. Per questo occorre uscire dai recinti contrattuali cui siamo stati abituati per anni, e porre al primo punto la solidarietà partendo dalla lotta al precariato”.

Il rischio altrimenti, ha segnalato nel suo intervento il segretario generale della Cgil Puglia, Pino Gesmundo, “in mancanza di una strategia nazionale sia ancora quello di andare a ruota delle scelte dei privati, delle multinazionali, di chi non opera secondo criteri di riequilibrio territoriale ad esempio, come indica l’Europa. Gli investimenti, anche quelli connessi al Pnrr e legati alla transizione ambientale ed energetica, seguirebbero le scelte di questi grandi gruppi e invece sono le politiche pubbliche, ma dubitiamo che la politica sia oggi in grado di condizionare le scelte”. Non è un caso, come è emerso dagli interventi dei delegati, “che Bosch qui in Puglia annuncia esuberi e nulla dice di investimenti, a differenza di quanto accade in Germania. Vogliamo discutere di innovazione, di formazione, di riconversione delle fabbriche e delle competenze dei lavoratori”. Poi c’è il delle competitività dei territori “e quindi degli investimenti in infrastrutture, soprattutto nel Mezzogiorno del Paese. Così come fa bene la Fiom a ricordare che la mobilità nella sua dimensione produttiva è tema trasversale, investe i servizi, la logistica, i trasporti, la chimica. La transizione deve allora avere un governo, indirizzata verso una migliore qualità del lavoro oltre che dei cittadini e dell’ambiente”. Mentre oggi la ripresa post Covid è contrassegna “solo da lavoro povero e precario. Per questo bene abbiamo fatto bene a scioperare, rompendo un muro di omertà che sosteneva come tutto procedesse per il meglio. Noi invece vogliamo condizionare le scelte della politica perché questa opportunità del Pnrr, assieme ai fondi strutturali, determini una strategia e investimenti conseguenti, che mettano al sicuro siti produttivi e posti di lavoro”.

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