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E' la Notte della Taranta: così la pizzica diventa storia di tutti

Notte della Taranta, del “Concertone”, di Melpignano, dell’ultimo scampolo d’agosto in uno dei confini più sconfinati del Paese. Notte in cui lo spazio si prende il suo tempo. Notte di miracoli, di possessioni, di materia irrefrenabile come le tammorre macchiate a sangue dalla forza di chi le percuote. Di tamburelli e violini, di orchestre popolari e voci, di armonie acute e ritmi ancestrali. Di sublimazioni ed esorcismi. Di catarsi, di donne da guarire dal male attraverso il rito curativo del ballo.
Il maschile e il femminile che danzano ruoli antichi, le “zagaredde” da rubare, il sudore che scaccia via il veleno. Notte che pizzica i corpi, note che pizzicano l’anima. Tra contaminazioni e passioni, tra mondi di suoni che s’incontrano e versioni da riscrivere.

E il “griko” migrò in Salento, e come un profugo trovò asilo. E lì impiantò il proprio linguaggio, si mischiò alla terra e fece frutto. È grande la potenza del popolo quando lo muove la musica, non la fermi la musica del popolo quando diventa tanto potente.

E quello che altri Sud non hanno saputo cogliere, la Puglia l’ha coltivato. Facendo del “tarantismo” una cicatrice da esibire come un marchio. Il morso del ragno che risucchia nella morsa del suo regno, le credenze diventate fede, le verità che sanno di dogma. C’è tutto un universo in quei canti, sputati fuori da una voce che è insieme tutte le voci. Che s’intona alle antenate, che se si alza poi sibila, stringendo e allentando la pressione, che illude di lasciarti andare mentre sta venendo a riprenderti. E c’è visitazione, il salentino sposa l'afro e il balcanico e l'irlandese e tutto il genio dei maestri concertatori s'insinua tra i geni degli esecutori.

Così la pizzica diventa storia di esploratori, di quelli illuminati dallo sguardo sul passato che sanno vederci dentro il futuro. La pizzica che impone il proprio movimento, che incide quel suo turbamento (Ludovico Einaudi, maestro nel 2010 e 2011, di quell'esperienza ne fece due dischi). Infiniti salti, brevi e lievi, con gli occhi fissi sull'essenziale mentre le gambe non smettono di andare.

Esserci è un'esperienza sensoriale, entrare in quella piazza è insieme travolgente e sensuale, coraggioso e respingente. Perché in fondo poi non se ne esce mai. Appena tutto si mette in moto, il tutto si fa unico. E l'onda di ogni «rucio ti lu mari» fa risacca. E più sbatte più s'ingrossa. Più spinge più richiama.
Le ultime due edizioni sono state malate (per la pandemia, nel 2020 si è svolta a porte chiuse, nel 2021 ha limitato le presenze a mille persone). La venticinquesima, Giubileo della tradizione,  accoglierà 200 mila persone. Dardust stavolta ha trovato le connessioni tra Elodie e Mengoni, tra Bersani e Pericolo. Tra Stromae e se stesso, tra “Menamenamò” e il suo successo. Tra un “kalimera” e un “kalinifta” c’è una notte in cui si conclude l'itinerario e comincia il viaggio. Allora? «Alors on danse».

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